Riunione pubblica con il Sindaco (31 maggio 2004)
Relazione introduttiva (Paolo Cevini)
Questo incontro ha per oggetto la valle Varenna: per conoscerla,
salvaguardarla, valorizzarla. La Valle è una straordinaria risorsa ambientale e almeno
per noi, una grande ricchezza. Se il mare che ci sta di fronte l'abbiamo negli occhi, i
monti, dietro, li portiamo nel cuore. Non è facile spiegarlo questo sentimento, ma
forse si può dire così: la valle Varenna, i monti che la coronano sono un po' la nostra
casa, anzi, l'angolo più intimo e segreto della nostra casa. Ed è naturale che ci sia
cara, come è logico che la si voglia tutelare, e al tempo stesso valorizzare.
Primo dunque, conoscere. Noi stessi non conosciamo a fondo la Valle. La
percezione diffusa è quella che se ne ha dall'automobile, lungo la carrozzabile che
mette a San Carlo e da qui sale al valico di Lencisa (ed ev. alla Guardia) per scendere
poi a San Martino di Paravanico in alta Val Polcevera, lungo un antico itinerario
carovaniero diretto a quel nodo del sistema logistico e di mercato che fu nel
medioevo Capanne di Marcarolo. In realtà, le bellezze della Valle sono un po' più
nascoste e defilate, e visibili solo allontanandosi dalla carrozzabile per antichi
sentieri montani - alcuni dei quali convertiti in itinerari escursionistici, ben noti ai
frequentatori abituali. Mi riferisco alle convalli dai nomi curiosi e suggestivi,
Cantalupo, Grillo, Gandolfi, Molinara ecc., e non entro nel merito dei pregi
ambientali e naturalistici (ben documentati nella pubblicistica di settore: basti citare
la bella guida Sagep). Voglio invece richiamare l'attenzione su un aspetto singolare
di questo paesaggio montano dolce e aspro insieme, che alterna picchi rocciosi a
morbide coltri boschive e che a caratteri naturalistici di pregio (sotto i diversi profili
vegetazionale, zoologico e idro-geo-morfologico), unisce meno noti ma non meno
rilevanti valori documentari storico-archeologici. Sono le tracce di un'antica, intensa
antropizzazione, solo superficialmente scalfita da un processo di ri-naturalizzazione
che ha investito questi luoghi, un tempo abitati e coltivati, restituendo uno scenario
che di natura selvaggia ha solo l'apparenza, ed è in realtà un vero palinsesto in grado
di raccontare, a chi lo sappia leggere, la storia degli uomini che lo hanno vissuto e
abitato.
Secondo punto: salvaguardare. Questi valori sono oggi, e non da oggi, esposti
a un degrado dovuto a diversi fattori. Tale degrado, se in parte è rinviabile al
fenomeno epocale dello spopolamento comune a molte plaghe rurali e montane del
nostro paese, in parte assai maggiore risale a circostanze contingenti, che potrebbero
trovare soluzione nell'ambito delle competenze e dei poteri degli enti amministrativi
territoriali. Mi riferisco anzitutto alle cave, ma un analogo discorso - lo accenno
soltanto - potrebbe e dovrebbe farsi per il controllo e la messa a regime
dell'allevamento brado, come anche per le azioni (urgenti e sistematicamente
omesse) di rimboschimento e di consolidamento idro-geologico. Ci sarebbe poi da
discutere sui criteri che ispirano l'azione della Provincia in tema di difesa del suolo -
finora circoscritta agli interventi idraulici e di messa in sicurezza dei movimenti
franosi (Ramaspessa e rio Taggin). Ma torniamo alle cave, che sono di gran lunga la
più spinosa delle questioni sul tappeto. Il Sindaco sa della nostra annosa battaglia,
che ha subito un'accelerazione dal 1998 in concomitanza con l'approvazione del
P.T.R. di settore, conclusasi nel 1999-2000. Conosce le denunce, le memorie, gli
appelli che puntualmente in questi anni abbiamo inviato alle Amministrazioni.
Ebbene, debbo dire che nonostante gli sforzi non l'abbiamo spuntata: qualche
modesto risultato l'abbiamo ottenuto ma non ci nascondiamo che le cave che hanno
chiuso, lo hanno fatto per ragioni diverse (essenzialmente economiche), estranee in
generale alle nostre istanze. Quella ancora in attività, la Tana dei Banditi a
Carpenara, che eravamo riusciti a portare da tipo B a tipo D, con un'escavazione
residua entro precisi limiti (la quota 400 m s.l.m., la dorsale di Costa Colletta-
Cappella S. Bernardo ecc.), non sembra affatto rispondere alla fondamentale
prescrizione dettata dal Piano, che subordinava ogni ulteriore escavazione alla
ricomposizione paesistica ed ambientale del sito (come dire: scava ancora, ma solo
quanto basta per sistemare i luoghi, e non oltre). Purtroppo abbiamo poi capito che
tal genere di prescrizione, in apparenza rigorosa e orientata al recupero e alla
salvaguardia, in realtà serve a legittimare, nei fatti, ciò che a parole ci si impegna a
evitare, e cioè una prosecuzione indiscriminata dell'attività. La cava, si noti per
inciso, è adiacente alla grande frana di rio Taggin, e certo non è estranea al grave
dissesto della zona, per rimediare al quale sono in corso appalti multi-miliardari da
parte della Provincia.
Il discorso testé fatto per la Tana dei Banditi si può rifare per i siti dismessi,
dove i cavatori se ne vanno lasciando - a pena di ridicole indennità - pesantissime
eredità. A Pian di Carlo (dove il PUC prevede impianti e attrezzature turistiche, come
ad es. campeggi) non vorremmo mai che il recente progetto presentato come
intervento di ri-naturalizzazione celasse qualche altra realtà - ben più inquietante,
come potrebbe essere un sito per stoccaggio di inerti (più o meno "speciali"). Non si
vuole fare un processo alle intenzioni, solo riteniamo che sarebbe cosa accorta e
corretta, da parte del Comune, pretendere che l'intervento - se di sistemazione del
sito in qualche modo si tratta - fosse finalizzato e rigorosamente subordinato
all'attuazione delle previsioni di piano, alla realizzazione cioè di una struttura
turistica, perché altrimenti sarebbe meglio parlare, più lealmente e senza ambiguità,
di stoccaggio di inerti (volgarmente: discarica). Questo dunque chiediamo, e lo
chiediamo al Sindaco.
Nella ex Coleol l'AMIU ha fruito di fondi comunitari erogati per un progetto
di centro di compostaggio vegetale, ed ha invece realizzato un impianto di riciclaggio
di detriti edili - rumoroso e polveroso - non bonificando tra l'altro il sito, che si
presenta tuttora ingombro dei vecchi impianti: tramogge, silos e altro ciarpame
arrugginito che offre uno spettacolo veramente indecoroso.
L'elenco sarebbe lungo ma non voglio tediare nessuno. Del resto, va anche
chiarito, il Comune non ha competenze specifiche sulle cave, che sono materia della
Regione almeno per quanto attiene all'attività. In compenso però, il Comune ha
competenza su importanti aspetti collaterali, tra cui quello urbanistico (con
riferimento ai siti dismessi) e quello della viabilità e traffico. Partiamo da
quest'ultimo. La viabilità di valle, per sua stessa natura, non è assolutamente atta a
sopportare il traffico pesante indotto dalle cave. Come abbiamo ripetutamente
denunciato, non è più oltre tollerabile che su una strada dove vige il limite di portata
di 24 t (non solo sui ponti ma sull'intero percorso) transitino mezzi di 40 t ed oltre,
con frequenze di 30 e più passaggi al giorno, il tutto sulla base di provvedimenti in
deroga reiterati sistematicamente ormai da vent'anni (la perizia su cui si fondano le
deroghe porta la data del 22 giugno 1984... e, per inciso, riguarda i soli ponti e non
le opere e i manufatti stradali in genere). Il rischio per i pedoni e i mezzi che si
trovano a percorrere la strada è elevatissimo (specialmente nel tratto sotteso
all'abitato nelle località Tre Ponti, Profondo e Chiesino), e non sono mancati
purtroppo incidenti mortali (due) o comunque gravi, mentre non si contano i danni
provocati negli anni, tra frane e cedimenti di strutture e opere di sostegno - tutti
sistematicamente pagati dal Comune, non ultimo, di recente, il consolidamento degli
impalcati di due ponti in località Tre Ponti.
Di fronte a questa situazione il Comune non ha che da applicare le norme,
smettendo una volta per tutte la pratica della deroga istituzionalizzata (di cui è per lo
meno dubbia la legittimità) e facendo rispettare, come è suo compito, i limiti di
portata e di velocità vigenti. Né riteniamo opportuno investire risorse in opere di
riforma del tracciato, rivolte ad un improbabile adeguamento della strada al traffico
pesante: il riferimento è alla variante di sponda sinistra e al tunnel previsto dal PUC
in località Tre Ponti. Non vogliamo opere del genere, quand'anche eventualmente (in
parte) pagate da privati, e questo sia perché non risolverebbero comunque il
problema di una strada che in generale non è fatta per sopportare il traffico pesante,
sia per altre buone ragioni: e veniamo agli aspetti urbanistici.
Terzo punto: valorizzare. Valorizzare la Valle, ovvero esaltarne e non
deprimerne le potenzialità è un obiettivo perseguibile attraverso una coerente
pianificazione urbanistica. In quest'ottica il PUC attualmente vigente va senz'altro
rivisto, specialmente laddove le previsioni di zona DT e T (per attività produttive e
funzioni speciali, l'una e per impianti tecnologici l'altra) nei siti delle cave dismesse
(rispettivamente: ex Coleol, Carpenara-Molinusso, Carpenara-Rocca Bandita per le
DT, e Fabbrica della Latta e Carpenara-Fumella per le T), lasciano una porta aperta
ad inquietanti prospettive (smaltimento rifiuti, termo-valorizzatore o altro), e questo
secondo una impostazione che se da un lato risponde ad un obiettivo di
allontanamento dall'abitato delle funzioni "sporche" e incompatibili, dall'altro fa a
pugni con le finalità, per noi prioritarie, di valorizzazione. Come si può infatti
qualificare la Valle, esaltandone le potenzialità ambientali, ammettendo
un'improbabile vocazione all'installazione di attività inquinanti e incompatibili?
Secondo noi il Piano va dunque rettificato, e per questo chiediamo al Sindaco
che nell'ambito della revisione generale si riconsideri il ruolo complessivo della
Valle - non più ricettacolo di attività incompatibili, costì destinate per la sola banale
ragione che "almeno sono fuori dai piedi", ma vero polmone verde. Un verde tuttavia
non solo di ambiente e di ecologia ma anche di economia (penso alle attività
agricole, pur marginali, che giocano però un ruolo importante nella "tenuta" del
paesaggio), di recupero abitativo (sempre più viva è la tendenza a vivere fuori città,
ma a tiro di città) ed anche, quel che è più difficile ma non per questo va tralasciato,
di bonifica e riqualificazione forestale e idro-geologica. A proposito: che fine ha fatto
il vecchio Servizio Giardini e Foreste (sottolineo "Foreste") del Comune di Genova?
e mentre lo chiedo (è ovviamente una domanda retorica) penso con rimpianto alle
campagne condotte ad opera dello Stato e del Comune ormai quasi cent'anni fa, che
ci hanno tramandato le splendide foreste di Lerone (Arenzano), di Acquasanta (P.ta
Martin), di Branega, le cui sistemazioni ancora oggi preservano quei siti da frane,
alluvioni e consimili calamità. Chiudo con un auspicio: che la revisione del PUC di
cui sopra possa diventare davvero un'occasione per instaurare qualche concreta
forma di partecipazione democratica, espressa questa volta, al di là delle procedure
ormai rituali del cosiddetto decentramento, nelle modalità di una genuina
collaborazione che da parte nostra riteniamo di poter prestare, se non altro per
l'esperienza che, da abitanti, abbiamo dei luoghi.
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