Memoria sulle cave della val Varenna
La presente memoria ha per oggetto le cave di val Varenna, in particolare la
cava denominata Tana dei Banditi. Delle tre cave in attività nella valle, infatti, le due
di Chiesino e Pian di Carlo risultano prossime all'esaurimento: il Piano le classifica
entrambe di tipo D e, salvo sorprese che - l'esperienza insegna - sono sempre dietro
l'angolo in questa materia, dovrebbero terminare l'attività entro un anno. Per inciso:
sarebbe gradita una conferma ed una assicurazione in tal senso, se non dalle
Commissioni, dagli organi dell'Amministrazione che ne hanno autorità e
competenza. Resta comunque, per le due cave citate, il problema del ripristino, che
poiché appare oggi lungi dall'essere intrapreso, non si vorrebbe diventasse
l'occasione - o il pretesto - per un'ulteriore dilazione dei termini di chiusura (così
come già altre volte in passato).
Non riteniamo di insistere sulle ragioni della nostra opposizione alle cave,
perché crediamo siano fin troppo note, essendo documentate da un'annosa campagna
di esposti, segnalazioni, memorie prodotte ed avanzate in tutte le sedi, dal Consiglio
di Circoscrizione al Comune, alla Provincia, alla Regione. Vogliamo solo ribadire
che quella degli abitanti è un'opposizione dettata non da ragioni ideologiche o
politiche (come potrebbero essere quelle, pur legittime e rispettabili, degli
ambientalisti o di altri movimenti) ma da motivazioni che si riportano più
semplicemente alle condizioni di vita e di lavoro, che devono rispondere, qui come
altrove, a criteri di civiltà e decoro, di rispetto delle persone, di tutela della loro
sicurezza e della loro salute.
E' ben noto come la viabilità della val Varenna non sia la più adatta al
transito dei mezzi pesanti. Vi sono limitazioni di carattere oggettivo, come la portata
dei ponti dislocati lungo il percorso, che è stabilita in 24 t (v. cartelli segnaletici del
Comune) e come la velocità massima, anche questa limitata lungo l'intero percorso a
30 km/h. Tenuto conto che il peso di un automezzo a servizio delle cave mediamente
è sulle 35-40 t lorde (15 di tara e 20-25 di carico, a seconda di pietrisco, massi,
conglomerato bituminoso ecc.), ben si vede quanto elevato sia il rischio di collasso
delle strutture. Fino ad ora si è andati avanti con provvedimenti in deroga del
Sindaco o - in pendenza - semplicemente contravvenendo i limiti, perché non risulta
economico effettuare trasporti con carichi entro i limiti.
Per restare in tema di opere stradali, è anche noto come la strada per S. Carlo
di Cese è una carrabile tracciata tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo e
completata, per il tratto Edifici Nuovi - Carpenara, attorno al 1913 e per il tratto
Carpenara - S. Carlo solo prima dell'ultima guerra. Ne deriva che, data la tortuosità
del tracciato di montagna, ritagliato tra l'alveo del fiume ed il versante scosceso, la
strada si regge in gran parte su muri di sostegno in pietra - anche, spesso, di notevole
altezza - certo non pensati per sopportare carichi del genere (si pensi agli effetti
dinamici indotti da un mezzo di 40 t di portata lorda quando scende, frenando, in
curva...). Del resto, cedimenti, frane ecc. sono cronaca di tutti i giorni
(particolarmente gravi quelli che risalgono agli ultimi anni e che la gente non
dimenticherà facilmente, di Profondo, Chiesino e Carpenara), certo non da imputare
solamente alle alluvioni ed all'inclemenza degli eventi atmosferici.
Ma non si tratta solo di rischio sotto il profilo strutturale. In gioco sono altre e
anche più gravi minacce alla sicurezza e alla salute degli abitanti. Le dimensioni
della carreggiata sono appena sufficienti per l'incrocio di due autoveicoli procedenti
in senso opposto e spesso, con difficoltà. Non si parla, naturalmente, di marciapiede,
che non esiste neppure nei tratti a più elevata frequenza pedonale, come per es. da
località Tre Ponti, inizio via Assarino, alla salita alla Stazione di Granara, dove si
trovano la chiesa parrocchiale, negozi, case, la scuola elementare e materna (con il
giardino pubblico intitolato a Luciana Canepa), una trattoria e infine, l'accesso alla
stazione del treno. In questo tratto, dove tra l'altro i parapetti dei ponti, divelti
dall'alluvione di cinque anni fa non sono stati ancora sistemati, la sicurezza degli
abitanti è veramente a rischio per il transito dei mezzi delle cave, i quali, in momenti
di punta, hanno fatto registrare (è dimostrabile, dati alla mano, dai rilevamenti
effettuati dal Comitato) frequenze di 300 e più passaggi al giorno.
Tutto ciò è ben presente al Comune, che nelle sue osservazioni al Piano delle
cave ha posto il problema della viabilità in termini pregiudiziali, subordinando
l'ammissibilità dell'attività estrattiva all'adeguamento della viabilità pubblica. Come
ha controdedotto la Regione? Solo argomentando che la viabilità non era oggetto del
Piano delle cave (sic!). Il che, nella sua enormità, formalmente non fa una grinza. Ma
di come girare la frittata, eludendo problemi di drammatica pregnanza, la Regione -
o più precisamente l'Ufficio cave - più di una volta si è mostrata maestra.
Vogliamo qui ripercorrere brevemente la vicenda - esemplare sotto questo
aspetto - della cava Tana dei Banditi. La Tana (o Rocca) dei Banditi è parte di un
contrafforte laterale della dorsale che dal monte Pennello e da punta Martin si
prolunga verso mare, scompartendo il bacino del Varenna dall'Acquasanta e dal
Leira. Si tratta del contrafforte che si origina dalla punta del Corno e scende di
traverso alla valle con alcuni caratteristici affioramenti rocciosi (localmente
"rocche"), tra cui per l'appunto la Rocca dei Banditi, la Rocca Civetta e, sul versante
opposto, la Rocca Fumella. Da un punto di vista paesistico, è evidente l'importanza -
per la verità anche geomorfologica e vegetazionale - di una tale emergenza, che
sposata al valore storico-monumentale del complesso di antiche cartiere di Carpenara
(un "borgo industriale" ante litteram, fondato tra '600 e '700 dai Pallavicini, che si
articola attorno ad una pittoresca piazzetta, con tanto di forno e cappella) e ad alcuni
altri episodi (la cappella di S. Bernardo, la casa fortificata sottostante ecc.),
determina una situazione di complessivo, ragguardevole interesse. In particolare, la
Rocca dei Banditi si presenta a chi risale la val Varenna, insieme alla Rocca Fumella,
come una sorta di avamposto - porta o varco di accesso alla parte alta della valle,
lungo il percorso che da S. Carlo, attraverso il valico di Lencisa, mette alla val Verde
(S. Martino di Paravanico) per finire alle Capanne di Marcarolo: storico crocevia tra
val Polcevera, val Lemme e valle Stura e antico caposaldo degli itinerari carovanieri
d'Oltregiogo.
Tornando alla cava Rocca dei Banditi ed alla cronaca dell'iter burocratico e
amministrativo, ai primi del 1980 - a seguito della l. r. n. 12 del 1975 - la società
concessionaria avanza istanza per proseguire l'attività. Trasmessa per competenza al
Comune, la richiesta è respinta (mentre vengono accolte quelle di Chiesino e Pian di
Carlo, sotto precise condizioni e ben definiti tempi di rilascio, essendo queste due
cave destinate dal P.R.G. a depositi petrolchimici). La motivazione del rigetto riposa
sulle previsioni di P.R.G. (zona boschiva) ed è, meno formalmente ma in buona
sostanza, dettata da una posizione - che si ritiene dalla C.A. più che fondata - di
assoluta contrarietà manifestata dal Consiglio di Circoscrizione di Pegli.
Ma Regione (Ufficio cave) e cavatori non si arrendono: un nuovo piano di
coltivazione, presentato come piano di "ripristino e rimboschimento" per una
"definitiva sistemazione dei luoghi" e gratificato di un nuovo parere, questa volta
favorevole del Comune di Genova, è predisposto ed approvato nel 1982. Ed è questo
il piano di coltivazione che ha consentito e tuttora consente l'attività fino al 2002
(con il solo, consistente vincolo - sul quale torneremo - della salvaguardia del
crinale superiore): una attività che come ognuno può ben vedere, è ben lungi da quel
concetto di sistemazione e rimarginatura di lacerazioni pregresse, che avrebbe
giustificato l'autorizzazione.
Ma non è questo il solo caso di clamorose marce indietro. In tempi più
recenti, la Provincia di Genova osservava al Piano cave della Regione chiedendo, in
particolare per la Rocca dei Banditi, la dismissione e la chiusura (cava di tipo A). La
richiesta, che seguiva tra l'altro ad una raffica di interpellanze (mosse anche in
Consiglio regionale), si motivava, oltre che dai vecchi problemi di viabilità,
sicurezza degli abitanti ecc., da una diffusa percezione - certamente acuita in quel
momento dagli strascichi della disastrosa alluvione del settembre 1993, con gli eventi
luttuosi che ne seguirono in zona - della rilevanza ormai drammatica della questione
ambientale e idrogeologica. La cava di Rocca dei Banditi, situata proprio ai margini
di un fenomeno franoso tra i più estesi e gravi della val Varenna, era evidentemente
ritenuta a rischio (e non solo dalla Provincia), per le ricadute dirette o indirette sui
delicati e già compromessi equilibri della zona. L'originaria previsione del Piano
cave, di ampliamento del perimetro per una coltivazione estesa al versante orientale
(essendosi resa manifesta la pericolosità del versante sud-occidentale, adiacente
all'area franosa di rio Taggin e Ramaspessa), veniva così messa in discussione -
tanto che lo stesso Ufficio cave era indotto ad introdurre una variazione in riduzione
del perimetro.
Esaurita l'ondata emozionale post-alluvione, tuttavia, non si dovrà attendere a
lungo (primi 1998) una decisa azione di recupero La Provincia si rimangia il parere
espresso in precedenza e quasi paradossalmente, mentre rassegna le risultanze di quel
Piano di Bacino che mette sotto rischio frana ben il 90% (!) della valle, scrive alla
Regione di non tener conto della osservazione resa in precedenza, e ciò data
l'esigenza di massi per scogliere artificiali che l'Autorità Portuale si è nel frattempo
fatta premura di invocare.
Ancora una volta il cerchio si chiude, tra l'altro svelando come una male
intesa (e a volte anche strumentale) istanza ambientalista possa sposarsi ad interessi
vuoi professionali, vuoi imprenditoriali, che alimentano il circuito economico
riconducibile all'attività estrattiva delle cave. Ma qualcuno sarà pure chiamato a
dimostrare - e non solo agli abitanti della val Varenna - come si possa sostenere,
anche sotto la più miope prospettiva "ambientalista", che l'impatto ambientale di una
diga dell'aeroporto mitigato dai massi naturali, valga il prezzo - questo sì reale - del
sacrificio imposto alla val Varenna in termini, come si è detto, paesistici, ambientali,
della sicurezza e del benessere degli abitanti.
Tornando alla cronaca, la manovra di recupero si attua nelle sedute d'inizio
1998 del Comitato Tecnico Urbanistico dove, complice la distrazione dei più, si
azzera brutalmente ogni restrizione per tornare alla primitiva ipotesi di ampliamento.
Risultato, nella proposta di provvedimento oggi all'esame di codeste Commissioni,
compare l'espressa dicitura che di seguito trascriviamo: "Cava Tana dei Banditi,
scheda 13 GE. Ampliamento a riconferma del perimetro come da progetto di Piano
adottato e inserimento di prescrizione ambientale". Il tutto non senza un piccolo
giallo: in una successiva seduta di C.T.U. (1 luglio), la lettura del verbale precedente
per approvazione e presa d'atto di talune puntualizzazioni, finisce per innescare una
discussione che porta tra l'altro ad evidenziare come già in precedenza il C.T.U. si
fosse pronunciato a favore della salvaguardia del crinale, ammettendo il valore
paesistico-ambientale della Tana dei Banditi.
E' evidente, alla luce di queste premesse, come "l'inserimento di prescrizione
ambientale" di cui al citato stralcio del provvedimento non possa che riferirsi alla
salvaguardia del crinale ovvero della parte sommitale (oltre quota 400 m s.l.m.) della
Rocca dei Banditi (tra l'altro così confermando un limite di fatto già presente nel
piano di coltivazione approvato e in corso), né altrimenti potrà intendersi: tanto meno
come un ok a un'escavazione che porterebbe di fatto - così come si preannuncia,
dato l'orientamento già manifestato in tal senso dall'Ufficio - al totale spianamento e
alla brutale eliminazione proprio di quanto la detta "prescrizione ambientale"
avrebbe dovuto e potuto salvaguardare.
Cosa chiedono dunque i Comitati? In sintesi: riconosciute le ragioni addotte
nel merito sotto il profilo della sicurezza, della salute fisica e del benessere degli
abitanti, nonché dell'equilibrio e della salvaguardia dell'ambiente naturale e
costruito, codeste Commissioni dispongano la classificazione o ri-classificazione
delle cave di val Varenna in modo da assicurare la definitiva chiusura entro breve
termine, in particolare, di quelle di Chiesino e Pian di Carlo, rigorosamente
vincolando il residuo periodo di coltivazione (un anno, a quanto pare) ad una reale e
non fittizia o dilatoria azione di ripristino ambientale che tenga conto, nel caso di
Pian di Carlo, della non più rinviabile necessità di riportare l'alveo del Varenna al
percorso, alle quote ed alle sezioni originarie, eliminando la pericolosa strozzatura
determinata negli anni dall'artificioso, progressivo estendimento del piano di
lavorazione.
Per la terza cava, Rocca dei Banditi, codeste Commissioni, preso atto della
documentazione prodotta da questi Comitati, vogliano autorevolmente ribadire
quello che risulta essere l'originario orientamento espresso - anche sulla base delle
osservazioni della Provincia e del Comune - dalla Amministrazione regionale, volto
ad una restrizione con classificazione di tipo A. Poiché, diversamente dalle due
precedenti, la cava ha un piano di coltivazione che consente di esercitare l'attività,
pur nei detti limiti, fino al 2002, non se ne ammettano varianti in ampliamento e nel
contempo si dia conferma dell'interpretazione che vuole il citato "inserimento di
prescrizione ambientale" applicato al crinale, ovvero parte sommitale della Rocca
(oltre quota 400 m s.l.m.), all'esplicito fine della sua salvaguardia.
Ringraziando per l'attenzione, distinti saluti
Comitato per la Difesa di Pegli
Comitato val Varenna
Genova, 5 settmbre 1998
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