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il Caffaro
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Lettera a Il Secolo XIX
sottolineatura

           Il programma a suo tempo concordato con l'assessore ai Musei Borzani di dar corpo, con la ristrutturazione del Navale ed il recupero delle ville Doria e Pallavicini, ad un "polo culturale" di Pegli nell'ambito della costituenda Fondazione delle Ville e dei Musei Genovesi, si è di fatto arenato per l'inerzia dell'Amministrazione, che non dà segno di volere impegnare le strutture (Aster) e le risorse necessarie. Risultato, che denunciamo con forza: villa Doria sta andando letteralmente in rovina, sta morendo. Un monumento eccezionale, unico nel suo genere come il lago dell'Alessi (che molte città ci invidierebbero) è ormai quasi perduto. Villa Pallavicini non gode miglior sorte: un restauro (parziale) ben pagato quanto mal eseguito, dopo un decennio sta mostrando tutti i limiti: gli stucchi cadono a pezzi, dei giochi d'acqua non c'è traccia (manca l'acqua!), le grotte sono inagibili, il verde... non ne parliamo. Si scopre adesso che non si è mai fatta manutenzione e ci si è solo preoccupati di far pagare il biglietto d'ingresso: una presa in giro!

           Queste ed altre circostanze innescano una riflessione più generale sul tema della cultura della città, nel rapporto centro-periferia. E a questo proposito, come dar torto a chi giudica Genova lontana e distratta, sorda alle istanze delle "più remote province dell'Impero"? Non si vuole portare acqua al mulino del municipalismo: da parte nostra abbiamo sempre considerato lucidamente i limiti delle istanze autonomiste. Certo è però che l'inefficienza, i ritardi, gli impegni mancati non giovano alla causa di un decentramento amministrativo che, d'altra parte, appare sempre più vissuto come una mera istanza burocratica, chiuso nelle logiche autoreferenziali dei partiti che lo gestiscono, sordo rispetto alle esigenze vere degli abitanti, svuotato ormai di ogni significato dal punto di vista di una reale partecipazione democratica.

           "La cultura cambia le città" recita lo slogan di una mostra su Bilbao a palazzo Ducale, che, appunto, sembra additare quella lontana e piuttosto oscura città (dove lo stravagante museo Guggenheim, vero e proprio evento mediatico, è assurto a meta di intensa frequentazione turistica) come un modello per Genova, un esempio da seguire. Ma è il caso di chiedersi, quale cultura? Quale cultura è davvero in grado di cambiare (e come) la città? E' cultura quella che si permette il lusso di lasciare andare in rovina beni inestimabili che la storia ci ha tramandato, come le nostre ville, i nostri musei, i palazzi, i giardini?

           Bene il recupero del Porto Antico, nessuno obietta, anzi; bene il nuovo Museo del Mare al Galata, bene Ponte Parodi e tutto il resto... . Ma attenzione: il prezzo da pagare non deve, non può essere la rovina e l'abbandono del nostro patrimonio storico! La contropartita non può essere l'abbandono della periferia, a pro del centro. Noi non siamo, non siamo mai stati né intendiamo essere o diventare, "periferia".

           E ancora, cultura non è solo questione di ville e musei. La cultura della città è sì espressa nelle istituzioni, così come nel patrimonio storico e monumentale (che è, in definitiva, la ricchezza storicamente sedimentata nelle città), ma tutto sarebbe niente o ben poca cosa, senza il presupposto che si richiama alle elementari condizioni del vivere civile. La cultura della città è soprattutto espressa nella condizione del vivere civile, nella dignità del vivere civile!

           Ora, vivere civile non è permesso a chi abita, vive e lavora con le bombe innescate del porto petroli e degli impianti petrolchimici sotto casa. Al signor Zara che leva la voce a difesa dei "sacrosanti" diritti dei petrolieri, avvertendo (è ancora di pochi giorni fa) che "il porto petroli non si tocca", noi diciamo: se proprio lo volete, mettetelo a casa vostra! Mettetelo ad Albaro a Nervi o dove diavolo volete. Questa la risposta che meriterebbe, e non la protesta civile, la responsabile e civile rivendicazione che si è sempre levata da parte nostra, di perseguire, con lo spostamento a mare dello scalo, la giusta mediazione tra le contrapposte esigenze degli abitanti e dell'economia portuale.

           Vivere civile non è permesso a chi vive e lavora dovendo fare i conti tutti i giorni con il traffico pesante e con l'inquinamento indotti dalle cave della val Varenna - una valle, per altro, sotto costante minaccia di utilizzazioni decisamente in contrasto con la naturale vocazione a parco.

           E' ora di dire basta, è ora che Pegli, Sestri, Voltri dicano basta. Questa parte di città ha già dato molto, e poco, troppo poco ha avuto in cambio. L'inceneritore, ultima (in ordine di tempo) delle regalìe che si annunciano, bisogna che diciamo forte e chiaro: tenetevelo! Noi abbiamo sopportato Scarpino per decenni, è ora che altri faccia la sua parte.

           Per i Comitati e le Associazioni di Pegli
           (Paolo Cevini)

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