Assemblea pubblica cinema Eden (18 dicembre 2003)
Come e perché siamo arrivati a questo convegno
Come comitati e associazioni di Pegli riuniti nell'Associazione degli Amici
del Museo Navale, da alcuni anni abbiamo portato avanti la battaglia per evitarne il
trasferimento e la chiusura, già programmati dal Comune in concomitanza con la
realizzazione del nuovo Museo al Galata (Porto Antico). Battaglia che non è stata
vana, perché è noto che abbiamo almeno ottenuto di confermare a Pegli il Navale
secondo la formula, da noi stessi proposta, di "due sedi, un museo". Battaglia che
però non va tralasciata, se intendiamo che davvero la sede di Pegli non solo resti
aperta ma possa rappresentare una chance importante per l'atteso rilancio della
nostra città ("città" dico e non altro, perché tale è e come tale dobbiamo pensarla, se
vogliamo che si abitui a pensarla così anche chi l'amministra).
Tornando alla formula delle "due sedi per un museo" (Galata e Pegli, con
specializzazioni diverse e complementari, ma di pari dignità), si era concordato con
la civica Amministrazione, in particolare con l'assessore ai Musei Luca Borzani, le
linee generali di un progetto che accanto alla conferma del Navale, rivisitato in una
nuova chiave, contemplava un più vasto programma di rilancio e valorizzazione di
quello che - un po' pomposamente - veniva allora definito "polo" o "distretto"
culturale di Pegli, che nell'ambito della costituenda Fondazione delle Ville e dei
Musei Genovesi avrebbe dovuto fare il paio con l'analogo polo di Nervi. Per inciso
(e non senza polemica): peccato che questo è partito, con impegni cospicui e opere
rilevanti (si pensi solo alla nuova Galleria di Arte Moderna) mentre il nostro è
rimasto lettera morta!
Comunque sia, un simile programma - che a noi stava bene e ci pareva
potesse restituire a Pegli il ruolo che anche tradizionalmente le spetta e le compete -
prevedeva di ripensare, oltre al Navale, anche l'Archeologico, il tutto nel quadro di
un recupero delle ville Doria e Pallavicini che, sia pure per gradi, consentisse di
arginare il grave degrado in atto, per valorizzarle definitivamente e inserirle a pieno
titolo, con i rispettivi musei, negli itinerari di visita della città (mediante il servizio di
trasporto marittimo e... perché no, ferroviario, contando sul restauro della storica
stazione di Pegli - l'imbarcadero di villa Pallavicini - e sul collegamento, via
Principe, con la villa del principe Doria di Fassolo, con la Commenda di Prè, con il
Porto Antico e tutte le altre tappe di una riscoperta vocazione turistica della città).
Purtroppo tutto questo si è arenato per l'inerzia e la sordità degli assessori
competenti (con l'eccezione, devo dirlo, dell'assessore ai Musei), che non hanno
voluto impegnarsi ed impegnare i loro servizi (l'Aster, principalmente) accampando
scuse varie ma sostanzialmente defilandosi, negandosi agli appuntamenti, opponendo
- come è ormai abitudine di questa Amministrazione - un vero e proprio "muro di
gomma".
Questa indifferenza, questa sordità è però grave, ed è all'origine di un senso
di sfiducia che fa male alla democrazia. Personalmente mi sarei aspettato una diversa
e ben maggiore attenzione, una diversa disponibilità ad affrontare insieme - con
quello spirito collaborativo che abbiamo sempre dimostrato, da parte nostra - i
problemi che abbiamo di fronte e che minacciano di travolgerci.
Dalla proposta collaborativa alla protesta
Mi chiedo, e chiedo a voi: come dar torto a chi, in buona fede, rivendica
l'autonomia amministrativa? Come dar torto a chi ritiene il comune di Genova
troppo lontano e distratto rispetto alle nostre esigenze, sordo alle nostre volontà?
Non voglio portare acqua al mulino del municipalismo. Ho sempre
considerato lucidamente i limiti oggettivi delle istanze autonomiste - almeno nel
senso in cui sono state finora espresse. Certo è, però, che l'inefficienza, i ritardi, i
mancati impegni non giovano alla causa di un decentramento amministrativo che,
d'altra parte, appare sempre più vissuto come mera istanza burocratica, chiuso nelle
logiche autoreferenziali dei partiti che lo gestiscono, sordo rispetto alle esigenze vere
degli abitanti, svuotato ormai di ogni significato dal punto di vista di una reale
partecipazione democratica.
Villa Doria sta andando letteralmente in rovina, sta morendo. Un monumento
eccezionale, unico nel suo genere come il lago dell'Alessi (che molte città ci
invidierebbero) è ormai quasi perduto. Villa Pallavicini non gode di miglior sorte: un
restauro (parziale) ben pagato quanto mal eseguito, dopo un decennio sta mostrando
tutti i suoi limiti: gli stucchi cadono a pezzi, dei giochi d'acqua non c'è più traccia
(manca l'acqua!), le grotte sono inagibili, il verde... non ne parliamo. Si scopre
adesso (ma quale ipocrisia!) che nessuna manutenzione è stata fatta: la gestione si è
solo preoccupata di far pagare il biglietto d'ingresso, e nulla più: una presa in giro!
Per non dire della grande "incompiuta", la passeggiata a mare, che qualcuno,
da una posizione autorevole e responsabile, il giorno dell'inaugurazione prometteva
di completare entro breve.
Per non dire dello stato generale di degrado e abbandono in cui versano
giardini, aiuole, marciapiedi...
"La cultura cambia la città"
"La cultura cambia le città" recita il manifesto di una mostra su Bilbao ora
aperta a palazzo Ducale, che, appunto, sembra additare quella lontana e piuttosto
oscura città (dove come è noto lo stravagante museo Guggenheim è assurto, per uno
di quei singolari eventi mediatici che ormai caratterizzano la nostra società
mercificata e globalizzata, meta di grande e intensa frequentazione turistica) come un
modello per Genova, un esempio da seguire. Ma è forse il caso di chiedersi, quale
cultura? Quale cultura è davvero in grado di cambiare (o anche fare) la città?
E' cultura, è lecito chiedersi, quella che si permette il lusso di lasciare andare
in rovina beni inestimabili che la storia ci ha tramandato, come le nostre ville, i nostri
musei, i palazzi, i giardini?
Bene il recupero del Porto Antico (nessuno obietta, anzi), bene il nuovo
Museo del Mare al Galata, bene anche il terminal di Ponte Parodi e tutto quanto il
resto... . Ma attenzione: il prezzo da pagare per tutto questo non deve, non può
essere la rovina e l'abbandono del nostro patrimonio storico! La contropartita non
può essere l'abbandono della periferia, a pro del centro. Noi non siamo, non siamo
mai stati né intendiamo essere o diventare, "periferia".
Non solo ville e musei
Voglio ancora dire, per necessaria ulteriore chiarezza, che cultura non è solo
questione di ville e musei. La cultura della città è sì espressa nelle istituzioni, così
come nel patrimonio storico e monumentale (che è, come dire, la ricchezza
storicamente sedimentata nelle città), ma tutto questo sarebbe niente, o ben poca
cosa, senza il presupposto fondamentale che si richiama alle elementari condizioni
del vivere civile. La cultura della città è soprattutto espressa nella condizione del
vivere civile, nella dignità del vivere civile!
Ora, vivere civile non è permesso a chi abita, vive e lavora con le bombe
innescate del porto petroli e degli impianti petrolchimici sotto casa. Al signor Zara
che leva la sua voce a difesa dei "sacrosanti" diritti dei petrolieri, avvertendo (è
ancora di pochi giorni fa) che "il porto petroli non si tocca", noi diciamo: se proprio
lo volete, mettetelo a casa vostra! Mettetelo ad Albaro a Nervi o dove diavolo volete.
Questa la risposta che meriterebbe, e non la protesta civile, la responsabile e civile
rivendicazione che si è sempre levata da parte nostra, di perseguire, con lo
spostamento a mare dello scalo, la giusta mediazione tra le contrapposte esigenze
degli abitanti e dell'economia portuale.
Vivere civile non è permesso a chi vive e lavora dovendo fare i conti tutti i
giorni con il traffico pesante e con l'inquinamento indotti dalle cave della val
Varenna - una valle, per altro, sotto costante minaccia di utilizzazioni decisamente in
contrasto con la naturale vocazione a parco.
E' ora di dire basta, è ora che Pegli, Sestri, Voltri dicano basta. Il ponente ha
già dato molto, e poco, troppo poco ha avuto in cambio. L'inceneritore, ultima (in
ordine di tempo) delle regalìe che si annunciano, bisogna che diciamo forte e chiaro:
tenetevelo! Noi abbiamo sopportato Scarpino per decenni, è ora che altri faccia la sua
parte.
Siamo qui dunque per protestare, per levare alta una voce di protesta
all'indirizzo di chi mostra di non voler ascoltare, o di essere distratto, anche perché
troppo sicuro delle conferme che puntualmente arrivano, nonostante i mugugni, alle
scadenze elettorali. Un'ultima considerazione: questa è una manifestazione della
gente, degli abitanti. Le istituzioni non c'entrano, non c'entrano i partiti che le
occupano. Rifletta dunque il Sindaco, riflettano i professionisti della politica, forse è
il caso, per una volta, di prestare attenzione.
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