Il verde a Pegli, tra un grandioso passato ed un incerto futuro
Quello del verde a Pegli è un patrimonio di straordinario valore, del quale
tuttavia si è perduta la consapevolezza sul piano critico (nel senso che non viene più
percepito come tale), e non solo da parte della Civica Amministrazione, ma quel che
è peggio, dai Pegliesi stessi.
Lo confermano i tanti (troppi!) casi di incuria ed abbandono (basti per tutti
l'esempio del lago di villa Doria: un eccezionale monumento cinquecentesco in
rovina e letteralmente dimenticato). Lo conferma la minaccia portata all'integrità di
un complesso come la passeggiata dei Villini (viale Modugno), con la costruzione di
banali palazzine che evocano ormai superati (almeno così credevamo) ricordi di
speculazione edilizia. Lo conferma il progressivo venir meno, in un clima di generale
indifferenza, dei vecchi alberi dei viali, mai sostituiti (nonostante le promesse), mal
curati e ridotti ormai, come in viale Martiri, a ben tristi condizioni.
Riguardo a tutto questo, noi siamo convinti che un diverso e più positivo
atteggiamento da parte del Comune (del quale spesso non a torto ci lamentiamo) non
possa manifestarsi che a seguito di una salda presa di coscienza, prima di tutto, da
parte degli abitanti.
Questo lo spirito della nostra iniziativa, il significato del nostro messaggio.
Dunque, qual è questo valore, su quali fondamenti riposa, perché, come si è
detto, è un valore "straordinario". Per rispondere, occorre risalire alle origini, bisogna
ripercorrere la storia, ed è quello che cercheremo di fare nella prima parte di questa
esposizione.
Origini, natura e qualità del verde a Pegli
La composizione del patrimonio verde di Pegli si presenta diversa ed
articolata, in quanto diversa è l'origine, diversi la natura e il ruolo che si configurano
nel corso di un plurisecolare processo di formazione. Schematicamente possiamo
individuare almeno due grandi categorie "storiche", riassumibili nelle ville
monumentali (giardino storico cinque-secentesco) e nel verde urbano o d'arredo
proprio dell'Ottocento. A queste si aggiungono particolari tipi insediativi - come la
caratteristica "passeggiata dei villini" di fine Ottocento (che vanta un prototipo
d'eccezione nel fiorentino viale dei Colli) - dove il verde si sposa ad una residenza
borghese d'élite, non escludendo tuttavia una importante dimensione pubblica, come
appunto la passeggiata: una strada nel verde, con alberature e panchine, concepita
come un tracciato panoramico che offre piacevoli scorci sull'abitato e sul mare. Una
variante è rappresentata dal Lungomare: passeggiata anche questa, ma litoranea, che
assume un importante ruolo di raccordo tra la palazzata a mare, la viabilità ordinaria
(Aurelia) e l'arenile - visto questo soprattutto, in origine, in funzione balneare.
Non bisogna infine dimenticare un episodio affatto singolare, come la
stazione ferroviaria. Per come è sorta - in funzione prettamente turistica ed in
posizione di assoluta centralità nel tessuto ottocentesco - e per come è configurata -
letteralmente come un giardino, sfruttando abilmente il tracciato in trincea della
ferrovia - la stazione è davvero, oltreché un luogo caro ai Pegliesi ed un importante
punto di riferimento della vita di Pegli, un vero e proprio polmone verde nel cuore
della città.
Le ville storiche
Per quanto riguarda le ville storiche, il passaggio in proprietà al Comune -
che segna anche la fine di una secolare, grandiosa tradizione di villa che data dal
Cinquecento - se si esclude il notevole precedente di villetta Di Negro, acquistata già
nel 1863 e collegata per l'occasione al giardino dell'Acquasola, avviene a iniziare dal
1920 (con villa Imperiale a San Fruttuoso e villa Cambiaso in Albaro) e prosegue
con ritmo sostenuto nel corso del "ventennio". Tra il 1926 e il 1929, durante la prima
amministrazione podestarile (podestà il senatore Eugenio Broccardi), l'obiettivo
conclamato - nel quadro di una politica della "Grande Genova" che rinnova i fasti di
"Genova Superba" - è "ritornare le più belle di tali ville al loro pristino splendore,
conservarne il possesso e il godimento alla città nativa e preservarle da eventuali
manomissioni".
In questo periodo pervengono in proprietà al Comune per acquisto, donazione
e trapasso le ville Serra e Gropallo di Nervi, la Scassi di Sampierdarena, la Doria e la
Pallavicini di Pegli, la Parodi "Maria" di Sestri, la Serra di Cornigliano, tutto per
complessivi 800.000 mq ca.
La campagna delle acquisizioni si conclude nel 1931 con l'acquisto di villa
Martini Rossi (già Lomellini) a Sestri e di villa Brignole Sale a Voltri.
In particolare per quanto riguarda Pegli, villa Doria è acquistata nel 1926
(l'anno della proclamazione della Grande Genova e dell'annessione dei comuni del
ponente e della val Polcevera). Il vasto giardino che scendeva al mare (cfr. M.
Vinzoni, 1773) era già stato lottizzato in buona parte; restava il parterre davanti al
palazzo e, dietro, il gran "bosco" (di quattro ettari) con il lago e l'isola della celebre
sistemazione ordinata dall'Alessi (G. Vasari, Le Vite, 1568) per Adamo Centurione
(cfr. J. H. Fragonard, 1761).
In una interessante veduta del secolo XVIII si nota come la proprietà Doria
estesa dalla spiaggia del mare fino alla collina, comprendesse, oltre al "prato di
levante" e "di ponente" a valle, al "bosco", a tergo, con il lago ed un vasto "giardino
d'agrumi", diversi edifici imperniati sul "palazzo d'alto" (eretto nella prima metà del
Cinquecento dal Centurione e riformato sulla fine del secolo dal nipote Gian Andrea
Doria), tra cui il "palazzo alla marina" con villa e giardino (collegato da un lungo
viale pergolato al palazzo superiore) e la chiesa di N. S. delle Grazie (con il
conventino degli Agostiniani), eretti entrambi dal Vannone tra il 1585 e il 1591.
Allo scadere degli anni Venti del Novecento, a seguito del passaggio al
Comune, il giardino è ridisegnato come un grande spazio urbano (piazza C.
Bonavino) tutt'attorno edificato: una soluzione urbanistica di compromesso, tutto
sommato in grado di tradurre l'originaria qualità spaziale nella nuova destinazione
pubblica. In quella fase furono anche avviati i lavori di "restauro" del parco, con il
tracciamento di nuovi viali e percorsi, con i muri, le bordure, le recinzioni ed infine
l'arredo; il tutto sul filo di una interpretazione, certo, ingenua dell'artificioso
"selvatico", raffinato e colto dell'Alessi, e tuttavia non disdicevole, tutta ancora
appoggiata - criticamente ignara com'è - alla sola padronanza del mestiere espressa
dai giardinieri comunali. Fu poi Orlando Grosso a ordinare, nelle sale del palazzo, i
materiali delle raccolte Garelli e Bibolini (donate al Comune nel 1922-23) dando vita
in tal modo, nel 1930, al civico Museo Navale.
Villa Pallavicini è invece donata "con munifico atto di omaggio al Duce
Benito Mussolini e al Fascismo" (come recita una lapide commemorativa) il 28
ottobre 1928. Nel palazzo vengono subito ordinate raccolte etnografiche ed
archeologiche liguri (tra cui gli importanti reperti delle Arene Candide), già
conservate a palazzo Bianco. Nasce così il civico Museo Archeologico.
La villa Pallavicini è un caso esemplare, al bivio tra tradizione e modernità. Il
giardino, pur legato (come nella migliore tradizione di villa) al palazzo ed all'azienda
agricola, è tuttavia ordinato da Ignazio Alessandro Pallavicini nel quadro di un
programma di valorizzazione turistico-immobiliare delle sue proprietà di Pegli (con
la costruzione dell'Hotel Michel, la sistemazione della piazza della Stazione e il viale
a mare); l'inaugurazione, nel settembre 1846, rientra nelle manifestazioni ufficiali
dell'ottavo Congresso degli Scienziati. La villa, direttamente accessibile
dall'"imbarcadero" della ferrovia Genova-Voltri (di cui lo stesso Pallavicini è
promotore e azionista di rilievo), registra subito una notevole affluenza di pubblico
(ventimila visitatori l'anno, secondo le cronache del tempo), che si deve far risalire
ad una ben orchestrata azione promozionale sorretta da un'intensa produzione
pubblicistica.
Un'iniziativa in bilico tra paternalistica munificenza e lungimiranza
imprenditoriale, dunque, il cui carattere in qualche modo "pubblico" resta
subordinato alla "graziosa" concessione del proprietario: "Ond'essere ammessi a
visitare la villa (...) - recita un pieghevole pubblicitario - è d'uopo della lettera di
permesso, la quale viene con gentilezza rilasciata ad ogni richiedente dall'ufficio di
segreteria del signor Marchese nel di lui Palazzo in strada Carlo Felice".
La villa si presenta come una versione popolare di quel ben più esclusivo e
sofisticato modello che è il settecentesco giardino Lomellini del Tagliafichi (villa
Lomellini Rostan, di cui parleremo). Di quest'ultimo, Michele Canzio offre una
personale interpretazione scenografica e teatrale: anche qui, un impianto prospettico
di gusto classico (la geometria "italiana" del sistema incentrato sul palazzo, con la
scalea di raccordo al giardino botanico ed il viale che immette al "bosco") si sposa ad
una sistemazione all'inglese, fatta di scenari che via via appaiono e si rinnovano, agli
occhi ammirati dei visitatori, come quinte di teatro. L'effetto illusorio e spettacolare
che accompagna il succedersi di eclettiche fantasie, giocate sul filo di uno storicismo
didascalico - volta a volta esotico, classico o medievale - ammicca a quello stesso
pubblico borghese che affolla gli spettacoli del Carlo Felice. Valete, urbani labores
(...) recita l'epigrafe nell'attico dell'arco di trionfo che segna l'inizio dell'itinerario di
visita; ma l'effimero divertimento che attende il visitatore è un ben misero surrogato
degli ozi di villa che l'invito lascia intravvedere.
Con la villa di Pegli, dunque, il verde "pubblico" assume quella connotazione
ludica e spettacolare che ha mosso più d'un osservatore al fin troppo facile
collegamento con il "parco di divertimenti": suggestivo, certo, ma forse eccessivo, se
si pensa che automi e ordigni meccanici, predisposti per il diletto e la curiosità più o
meno colta del visitatore, hanno sempre fatto parte dell'ordinamento dei giardini.
Un caso dove purtroppo quasi tutto il giardino è andato perduto, pur
nell'eccezionalità e nello straordinario valore dell'impianto, è quello di villa
Lomellini Rostan a Multedo. Non meriterebbe parlarne, dato che ciò che resta oggi è
ben povera cosa, se non fosse per due valide ragioni: da un lato la lezione che se ne
può trarre in prospettiva, dall'altro lato, poiché non tutto in verità è perduto, per
riconoscerne le tracce e da quelle - accanto ad altre - partire per avviare un'opera di
riordino o più ambiziosamente, per ripensare il futuro di Multedo.
Descrizione del giardino e dei suoi resti. Richiama il progetto di O. Bongi.
Le proprietà Lomellini non erano confinate a Multedo, ma sul finire del
secolo XVIII (quando Agostino, ex doge e figura eminente di intellettuale illuminista
commissiona a Emanuele Andrea Tagliafichi il magnifico giardino di Multedo) si
estendevano a coprire gran parte dei territori di Pegli, come dimostra il catasto
figurato ("cabreo Lomellini") predisposto da Giacomo Brusco nel 1790.
Si noti la disposizione degli edifici nel tratto di litorale che va da Porticciolo
all'attuale via De Nicolay (villa Grillo, al confine con la proprietà Doria): spicca la
villa Lomellini nel suo monumentale assetto cinquecentesco (si noti l'unica loggia
tripartita, a ponente), diverso tuttavia da quello attuale (albergo Méditerranée) che di
originale non conserva che la torre retrostante (cfr. "cabreo Lomellini" cit.).
Sulla scia di villa Pallavicini si colloca, all'estremo ponente di Pegli, la così
detta Torre Cambiaso. Eretta intorno al 1850 dall'architetto Giovanni Battista
Novaro (nipote ed emulo di Michele Canzio, l'architetto-scenografo di villa
Pallavicini) per il marchese Pietro Cambiaso, sorge su un organismo preesistente -
già proprietà Spinola - che a ancora a fine Settecento, in un catasto illustrato ("il
cabreo Cambiaso" datato 1787 e firmato Giuseppe Ferretto) si presenta nella sua
originaria consistenza di organismo rurale, al centro della più vasta proprietà di
"Castelluzzo" estesa tra Pegli e Prà e comprendente ben diciotto "tenute".
La versione proposta dal Novaro interpreta la moda corrente del giardino neo-
gotico o se si preferisce del giardino pittoresco all'inglese, che traduce in un'accorta
e gratificante scenografia teatrale, sull'esempio appunto di villa Pallavicini, una
congerie di elementi classici, neo-gotici, esotici, non senza qualche riecheggiamento
del modello canonico inglese di villa Serra a Comago di Manesseno.
L'elenco delle ville di Pegli e Multedo potrebbe continuare. Numerose quelle
dei Lomellini: accanto a quelle rimaste di Porticciolo (oggi albergo Méditerranée),
Lomellini "Rosa", Lomellini Banfi - dai giardini più o meno mutilati -, non
mancano quelle scomparse, o di cui non restano che labili tracce: è il caso della
Lomellini Bixio e della Gavotti Persico (dove oggi sorge la Superba), entrambe a
Multedo.
Le proprietà Lomellini si estendevano anche in val Varenna, con ville
rustiche e opifici (cartiere, in particolare); tra le prime, notevole la villa Lomellini
"Konak" in località Tre Ponti, che presenta una versione assolutamente tradizionale e
agreste di orto-giardino (tuttora conservato) basata su un'ardita sistemazione
dell'acclive versante. La Lomellini "Konak" (così detta dalle evidenti
contaminazioni arabe dell'architettura, imputabili alle note frequentazioni tunisine
dei Lomellini di Tabarca), insieme a villa Granara Cabiria posta di là del torrente,
con le rispettive sistemazioni del versante di sponda sinistra ed il ponte settecentesco
che le collega sovrapassando la carrabile, costituisce tuttora una straordinaria unità di
paesaggio "di villa" - anche questo da riguardarsi come verde, ancorché di utilità -
suscettibile oggi di una fruizione di tipo pubblico, come passeggiata lungotorrente di
rilevante interesse storico ed ambientale anche, tra l'altro, per il caratteristico e ben
conservato borgo di Razzara. Un tale tracciato - che sotto la definizione di "strada
Lomellina" potrebbe anche assumere una significativa valenza turistica - prosegue
poi in sponda destra (via Pola) fino al pittoresco nucleo di Ca' de' Rossi (VRF) e da
qui, attraverso il bel ponte ottocentesco (intitolato a Napoleone III), mette infine al
Profondo, sede delle antiche (purtroppo malamente trasformate) cartiere Lomellini.
Il verde urbano e d'arredo
Si tratta di una categoria tipicamente ottocentesca, che rinvia al concetto di
"decoro" che impronta l'urbanistica ottocentesca nonché ai riti sociali della
borghesia: prima di tutto il passeggio. Secondo tale concezione, lo spazio urbano è
letteralmente spazio scenico (quasi in senso teatrale), dove il verde, insieme alle
facciate degli edifici, costituisce quinta o fondale della vita quotidiana di città.
Pegli ha un'importante facies ottocentesca, rappresentata dalla piazza della
Stazione, con l'aiuola centrale e la simbolica palma, e con la Casa del Popolo (già
Hotel Michel) ed i "propilei" del viale d'accesso a villa Pallavicini. Da qui si
dipartono gli assi rettilinei che danno ordine all'espansione ottocentesca, secondo i
piani urbanistici predisposti dal Comune non senza il beneplacito del marchese
Ignazio Alessandro Pallavicini, che nel decennio tra l'inaugurazione della villa
(1846) e l'apertura della ferrovia Genova-Voltri (1856) si può presumere reciti il
ruolo di regista dell'espansione urbana di Pegli. Nasce così il viale Pallavicini e
l'asse via Pallavicini-via Sabotino (anche questo nella forma del viale, come
dimostrano le vecchie foto di via Sabotino) e da questa matrice ortogonale,
sovrapposta alla maglia irregolare dei vecchi tracciati (il Carruggio, la Crosa dei
bastardi, la Crosa di San Martino, il vecchio tracciato interno della via "romana"
ecc.), nascono il viale Martiri e poi via Ricasoli, Prestinari ecc., fino a guadagnare le
pendici collinari con i "villini" tra Otto e Novecento.
Le passeggiate dei villini (viale Modugno, via Vespucci e a Multedo viale
villa Chiesa): un insediamento che sposa la residenza qualificata borghese al verde di
una pubblica passeggiata con alberature e panchine, soprattutto orientata alla
fruizione di scorci panoramici.
Il Lungomare: un tipo particolare di passeggiata, opera della seconda metà
degli anni Trenta, che media il rapporto tra la spiaggia, l'Aurelia e la palazzata sul
mare. Alterna percorsi di transito (passeggio) ad aree di sosta ed è prevalentemente
concepito in funzione panoramica (aperture visuali verso il mare aperto, ma anche
sulla palazzata e sulla spiaggia).
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