Riapre il Museo Navale di Pegli
Paolo Cevini
Venerdì 3 dicembre sarà inaugurato il Museo Navale di Pegli. Tanto più bisogna rallegrarsene, perché anni fa se n'era decretata la chiusura e il trasferimento alla nuova sede del Galata in Darsena. Ora non solo c'è il Galata ma accanto a questo c'è il Navale di Pegli, rinnovato nell'ordinamento e con le carte in regola per iniziare una nuova vita. Con quale "missione" è presto detto: museo non vasto ma di qualità, depositario di un patrimonio cui ora attinge anche il Galata, con quest'ultimo è in sinergia non solo per via dei prestiti ma per l'integrazione dei ruoli: divulgativo e turistico il Galata (in accordo con il contesto ludico-spettacolare del Porto Antico), più indirizzato alla ricerca il Navale. Inoltre, mentre il Galata privilegia la città e il porto, il Navale di Pegli resta incentrato sulle Riviere. Quanto all'ordinamento, messo da parte il vecchio criterio per collezioni (acquerelli, atlanti, carte nautiche, sestanti ecc.) e/o per grandi sezioni cronologiche (la vela, il vapore ecc.), il Navale si presenta ora ordinato per temi. Anzitutto, la rappresentazione iconografica e cartografica della Liguria di antico regime (l'"Immagine delle Riviere"). Segue la sezione che analizza il concetto di porto(a) e la logistica dei trasporti marittimi e terrestri in antico regime ("Arenili e Porti"): quella delle Riviere è la storia di un'economia sul mare; con l'Ottocento inizia il turismo, e con esso un'altra storia. "Genova e le colonie" (la Maona di Chio; le colonie del Mar Nero; Tabarca e i Lomellini di Pegli ecc.) è la sezione dedicata alla presenza politico-economica genovese nei mari. Seguono "I Doria a Pegli", un itinerario svolto in parallelo con la "curia" doriana di città, con il palazzo di Fassolo e l'insediamento di Loano. Altri temi riflettono più direttamente la vicenda della marineria genovese, con le Riviere protagoniste: "Patroni e capitani di Riviera, XVIII e XIX secolo" (armamento, noli, contratti ecc.) e soprattutto "Cantieri e navi di antico regime", ovvero profili professionali, tecniche e materiali, tipi costruttivi (modelli; nomenclature; contratti di costruzione). E' quest'ultima una delle sezioni più importanti, volta a illustrare la realtà costruttiva pre-industriale specialmente nei suoi aspetti materiali.
Naturalmente tutto questo non è che l'inizio. L'ambizioso progetto originariamente ispirato (da chi scrive e da Tiziano Mannoni) alla cultura materiale o "archeologia del (saper) fare", nell'allestimento ottimamente predisposto dal curatore Campodonico con i mezzi a disposizione ha potuto trovare solo una prima, parziale attuazione. Il cammino è ancora lungo ma forse è anche giusto che sia così: un museo non nasce "fatto e finito", al contrario è un organismo vivo e come tale deve essere pensato, aiutandone la crescita in armonia con la missione originariamente statuita. In questo senso è davvero significativa l'istituzione in seno al Museo (caso unico, almeno a Genova) di un Centro di ricerca che ne sarà l'anima e il motore. Centro dove, in collegamento con l'Ateneo e con altri centri (ISCUM e Istituto Internazionale di Studi Liguri), autorevoli studiosi rappresentativi di altrettante aree disciplinari coordineranno l'attività di ricerca, assicurando importanti ricadute sull'ordinamento espositivo e di fatto in tal modo contribuendo a rendere vitale il Museo: si tratta di mostre e convegni programmati, di anno in anno, da ciascuna delle tre sezioni (rispettivamente dei professori Mannoni, Magnani e Quaini). La prima mostra (2005) sarà sul legno: provenienza e coltivazione, taglio e lavorazione nella costruzione navale (con particolare riferimento all'ambito del Beigua e di Varazze).
E' evidente, in conclusione, come un museo del genere (aperto sì al turista ma pensato per l'abitante) risponda ad una concezione diversa da quella corrente che fa del museo un luogo d'evasione, uno dei tanti dove si celebra il rito quotidiano del consumo: una visione della cultura intesa, all'opposto, ad arricchire la vita della città, a rafforzare il sentimento di appartenenza e a far crescere la coscienza civile degli abitanti, ispirandone la visione del proprio futuro. In questo senso la battaglia dei Pegliesi per il "loro" museo - a suo tempo dai più fraintesa - è stata invece, bisogna dirlo, una battaglia giusta, diretta com'era a scongiurare il rischio di una progressiva marginalizzazione vieppiù incombente su zone storicamente vitali, esse stesse patrimonio della città.
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